Classe 1980…stiamo parlando di Alice Pasquini, visual artist
romana impegnata nel lavoro di
illustratrice, scenografa e pittrice!
Diplomata
all’Accademia di Belle Arti di Roma, come
ogni talento italiano, va via dall’Italia per po’ per cercare la sua strada.
Prima
Madrid, dove ha frequentato la Scuola ARS
Animaciòn e conseguito, nel 2004, il titolo di
specialista in arte e critica d’Arte presso la Universidad Computense. Poi, con l’inizio della sua carriera negli
anni 2000, ha vissuto, girato e lavorato in Francia, Germania, Gran Bretagna,
Norvegia, Olanda, Russia, Marocco e Australia.
Nonostante il suo lavoro di illustratrice, le importanti collaborazioni con
grandi griffe internazionali come Nike, Rizzoli,
Range Rover, e gli ultimi lavori (al Campidoglio per gli uffici del sindaco e alla Casa dell'Architettura con le "Cave of tales"), la sua vera passione è la strada.
Alla normale tela predilige il muro, e alla tavolozza di colori sostituisce
bombolette spray e stencil.
Tutti voi vi sarete imbattuti, almeno una
volta, in una sua opera caratterizzata dalla contrapposizione di colori caldi (quali
l’arancione che è il colore, per riprendere una sua definizione, dei palazzi di
Roma) e freddi (quali il verde o il blu) che si mescolano, dalle linee fluide e
decise che spesso delineano volti e storie di donne.
Urban
Painting ha pubblicato su facebook una classifica di gradimento degli street
artist e, secondo questa, Alice sarebbe tra i primi dieci urban artist più
amati al mondo insieme ad artisti come Blu, Sten&Lex, Bansky, JR, C215,
Faith 47 e Swoon.
Abbiamo posto alcune domande ad Alice per conoscerla meglio
e per capire la sua visione.
1) Prima domanda. La definirei “domanda di prassi”:
Perché
Alicè e perché, soprattutto, la scelta di non celarsi dietro un nome d’arte ma di
mettere a nudo la tua identità?
Ho deciso di firmare con
il mio vero nome, allo stesso modo in cui ho deciso di dipingere durante il
giorno o presentarmi a volto scoperto. Considero ciò che dipingo più vicino
all’arte che al vandalismo e trovo stupida una società che spende tempo ed
energia nella lotta ai graffiti. Mi prendo i miei rischi fa parte del gioco e
della "rivoluzione".
2) I tuoi lavori mi hanno affascinato per la loro
luce e per i loro colori (caratteristiche che dopotutto affascinano chi segue e
osserva le tue opere).
Ma un’altra caratteristica sempre presente,
che balza agli occhi, ma su cui non ci si sofferma mai abbastanza è la
rappresentazione della donna.
La
scelta di una costante rappresentazione femminile porta in se una componente
autobiografica? Ogni donna che rappresenti racconta di te, di una parte di vita,
o, più semplicemente, racconta una storia?
Parlare da un punto di
vista personale mi porta inevitabilmente anche narrare da un punto di vista
femminile. Come artista sono interessata a indagare i sentimenti umani
esplorando attraverso le mie emozioni. Per questo c’è sempre una motivazione
autobiografica inconscia aldilà della scelta di un determinato soggetto o di
una storia da narrare. Purtroppo non sono mai in grado di comprendere il
significato che ha per me stessa durante la realizzazione eppure ciò mi appare
chiarissimo una volta trascorso del tempo.
3) La magia della “street art”, che tu hai
amabilmente definito “arte contestuale”, è anche quella di scoprirla mentre si
cammina, si va a lavoro o si esplora la città, e non quella di andare
appositamente ad ammirarla (come avviene per un quadro in esposizione, per
intenderci).
Consapevole
di questo, come reagisci quando realizzano degli eventi, come quello del 9
dicembre 2012, “Incontro con Alice Pasquini. Metropolitan art crumbs.”, che
assumono la forma di una “gita” alla scoperta dei tuoi lavori?
Sì, penso che l’
“effetto sorpresa” sia parte della bellezza di questa forma di espressione ma
purtroppo o per fortuna l’interesse da parte del "pubblico" è oramai cresciuto
da qualche tempo. Cosi finché non c’è scopo di lucro io non ho nulla in
contrario a incontri del genere, anzi trovo molto divertente l’idea che un
gruppo di persone di differenti età e culture che non si sono mai viste prima
si ritrovi una fredda mattina a Roma per andarsene a zonzo, come in gita
appunto, socializzando fra loro mentre percorrono la loro città in un modo
diverso.
4) Hai vissuto in molti posti, tra cui Spagna, Gran
Bretagna, Francia, e visitato ed operato in molti altri, quali Germania e
Australia. Questo è dovuto ad una tua voglia di evasione e cambiamento, o a una
semplice voglia di conoscere? Ed ora che, per motivi lavorativi, stai
trascorrendo più tempo nella tua città d’origine, Roma, come la vivi?
Roma è la città dove
sono nata e cresciuta e che inevitabilmente amo e odio. Fin da bambina ho
viaggiato moltissimo e il mio temperamento irrequieto e la mia necessità di
fuga mi hanno portato presto fuori dall’Italia. Adesso sto provando a cambiare,
dopo anni di nomadismo ho finalmente deciso di avere una base, che per me vuol
dire uno studio.
In realtà
continuo a viaggiare moltissimo e a Roma non ci sto spesso ma sto imparando: un
conto è fare un viaggio e avere un posto in cui tornare, un altro darsi alla
fuga e lasciarsi tutto dietro.
5) L’arte contestuale. Non sono interessata a
chiederti perché l’hai scelta, ma se, dopo le importanti collaborazioni e i
progetti sempre più ambiziosi (tra cui mi sento di citare la “Cave of Tales”
alla Casa Dell’Architettura e la tua chiamata ai Musei Capitolini), hai mai
pensato di accantonarla per dare spazio a un arte più da “studio”, quella in
cui l’artista è da solo con il colore e la tela e non è più, quindi, al
contatto con un arte “pubblica”.
Per
me è stato l’inverso. Vengo proprio da una formazione classica, ho studiato
all’accademia di belle arti e sono poi sfuggita a quel tipo di vita di artista.
La strada mi ha presto affascinato per le sue caratteristiche democratiche e
non commerciali. Certo le cose stanno cambiando ed è facile osservare come ogni
volta che si crea un’avanguardia artistica, il mercato dell’arte prova a
confezionare un pacchetto adatto alla vendita ma questa è una vecchia storia. Per
quanto riguarda le istituzioni, sono contenta di osservare come finalmente si
comincino a svegliare e a capire l’importanza del fenomeno. Certo anche su
questo tema ci sarebbe molto da dire, ovviamente le contraddizioni sono
evidenti. Guarda me, un giorno dipingo ai musei capitoli per il sindaco e il
giorno dopo potrei essere multata da un vigile mentre faccio un’azione in
strada.
6) Hai detto, in una vecchia intervista, che l’artista
non è un comunicatore. L’artista ha un proprio messaggio ma il pubblico può
recepirlo in maniera del tutto personale.
Ma c’è
almeno una componente nelle tue opere che vuoi far arrivare in maniera
“oggettiva” più che soggettiva? Un messaggio universale presente nel tuo lavoro
che vorresti che tutti percepiscano alla stessa maniera?
Certamente,
come ti dicevo prima le motivazioni emotive arrivo a comprenderle in un secondo
momento ma quando affronto un nuovo progetto parto sempre da un concetto sul
quale mi documento a lungo, leggo tutto ciò che trovo d’interessante sull’argomento,
cerco immagini, libri, film, canzoni poi provo a interiorizzare tutto quello
che ho scoperto e provo a dimenticarlo poco prima di mettermi a creare per
mettere in moto i meccanismi dell‘inconscio.
7) Mi affascina molto il tema dell’ “arte per il
sociale”, ossia quando la street art viene chiamata a rivalutare uno spazio (come
è, ad esempio, il muro da te dipinto a Via dei Sabelli a Roma, nel quartiere
San Lorenzo). Mi spiace solo che spesso questo tema non viene affrontato come
dovrebbe, viene preso spesso “sotto gamba”, ignorando che oltre ad essere, di
per sé, un’iniziativa interessante, è anche low cost!!
Quindi,
in chiusura, noi di Indiestruttibili siamo curiosi di sapere se prossimamente
lavorerai a qualcosa del genere, e se vuoi spendere due parole a riguardo del
tema! Un appello magari, affinchè
soluzioni di questo genere possano essere prese più spesso in considerazione.
Le cose non funzionano
come dovrebbero, ma per fortuna esistono molte persone disposte a mettersi in
gioco. Personalmente è capitato di lavorare in forma gratuita a progetti
sociali in cui credevo. Prossimamente tornerò al Metropoliz una ex fabbrica
abbandonata e riportata a nuova vita dove qualche tempo fa avevo realizzato una
ludoteca per i molti bambini delle differenti comunità che ora abitano lo
spazio.
a cura di Liana Traversi