domenica 6 ottobre 2013

INDIECAR(t)E: Uno sguardo a ... Sebastian Bieniek


"Non ascolto ciò che dicono i critici d’arte. Non conosco nessuno che ha bisogno di un critico per capire cos’è l’arte." 
J. M. Basquiat                                                                                                                                                                                                    
Chi dice che l’arte è per pochi? 
L’arte è per tutti coloro che sanno guardare. Ma non fissare, con sguardi spenti e bocche serrate. Ma per chi sa sorridere e vivere con gli occhi.

È questo ciò che ci proponiamo di fare con questa rubrica. Non insegnare l’arte, non obbligarvi ad essere finti intellettuali cui basta conoscere a memoria tutti i movimenti e gli artisti presenti fino ad oggi sul pianeta, o a cui basta partecipare ad un vernissage o ad una mostra di prestigio per essere intenditori. Ma cercare di farvi guardare. Guardare con sorriso la vita. 
L’artista di oggi è una persona che sa guardare con profondità ogni aspetto della vita, e quando decide di esprimerlo con le sue opere riesce però ad esprimerlo con semplicità, ma quella semplicità che recepisce chi, come lui, sa osservare.
Sto parlando di Sebastian Bieniek, artista tedesco nato in Polonia.

La sua arte è comunicativa, intelligente e spesso ironica, capace di spaziare da un campo all’altro mantenendo, però, la sua interessante visione sia come fotografo o pittore,  che come scrittore o cineasta, e, proprio perché deriva direttamente dallo sguardo, è un arte istintiva e spesso prodotta con una serie di elementi.


Aveva già destato in me interesse l’anno scorso, con la serie di dipinti “Homeland”. Una serie di dipinti, di dimensioni 80x60, strutturati come la copertina di un giornale.



Il soggetto è sempre una donna sfigurata, accompagnata da  due parti scritte, introdotte per rafforzare il concetto secondo il quale una rappresentazione forte può essere così pregna di significato da ricondurre ad altri tipi di riflessione: un titolo, che, messo in sequenza con quelli degli altri dipinti della serie, è parte di una frase: “Some time you win Some time you lose”, letteralmente “Certe volte puoi vincere Certe volte puoi perdere”; una didascalia, “What happen if we leave….”, letteralmente “Cosa accadrebbe se noi lasciamo…”.                                                                       
Ad ispirarlo, dice, è stata la copertina di un numero del Times che raffigurava una donna afgana con il naso tagliato. Un immagine così forte vorrebbe apparentemente rappresentare una richiesta di aiuto da parte di alcune donne in altre parti nel mondo, ma in realtà, messa sulla copertina di una rivista così importante, diventa anche messaggio politico (la presenza militare statunitense in Afghanistan), classista (la donna che non può ribellarsi) e conservatorio.
L’opera, a mio parere, si mostra nella rappresentazione così chiara e semplice, ma basta soffermarsi solo un attimo in più sui singoli volti e sulle singole scritte per far mettere in moto una sorta di meditazione sul tema che ha mosso l’artista ad interpretarlo.
Doublefaced no. 13
Oggi Sebastian fa parlare di sé con un’altra serie di lavori: “Doubledface”.
Ad un primo sguardo, anche di una sola foto di quelle che compongono l’opera, si potrebbe pensare: “Quindi? Ha disegnato una faccia su una….faccia!”. Ma io non ci trovo nulla di banale in questo. 
Doublefaced no. 10
Basta pensare a come nasce l’idea: un giorno suo figlio stava così male da non riuscire a fare nemmeno un sorriso. Per alleviare il dolore, Sebastian gli disegna, con un pennarello, una faccia sul volto. Così, per farlo divertire un po’. Osservando meglio ciò che aveva fatto ha evoluto la rappresentazione disegnando, con solamente un eyeliner e un rossetto, una doppia faccia sul viso della propria ragazza. Tale rappresentazione serve ad indagare sul concetto della dualità delle persone. 
Doublefaced no. 23
Lo stile è volutamente semplice, proprio per arrivare a chiunque. La sua, infatti, non è un arte da galleria. Le sue opere vengono subito pubblicate sulla sua pagina Facebook o sul suo sito www.sebastianbieiniek.com. L’intento è quello di far pensare a chiunque osservi i suoi lavori “io so fare anche di meglio”, proprio per creare un’iterazione tra spettatore ed artista. Il risultato? Qualcosa di così estremamente semplice che ricorda il modo di guardare il mondo proprio di un bambino, che spiazza, stupisce, fa riflettere e fa sorridere.


a cura di Liana Traversi




Doublefaced no. 4

Doublefaced no. 24
Doublefaced no. 5
 

Nessun commento:

Posta un commento