lunedì 7 ottobre 2013

Le recensioni indiescutibili: Spiral 69 "Ghost In My Eyes"







Ci sono band che fuggono a gambe levate davanti a facili etichettature, ovvie similitudini e ingombranti paragoni. Poi ci sono band -a mio avviso la maggior parte- che non temono di incappare sotto la scure dell'assimilazione, ed anzi, fanno del proprio personalissimo albero genealogico musicale un vero e proprio manifesto ideologico-culturale. Ora, in entrambi i casi le conseguenze di queste scelte non sono mai del tutto scontate e i loro effetti sull'orecchio dell'ascoltatore, sono sempre imprevedibili: un eccesso di avanguardia può far gridare al miracolo, ma -spesso- porta il malcapitato di turno a grattarsi il capo per giorni, salvo poi buttare per sempre nel dimenticatoio opere che lasciano il tempo che trovano. Nel secondo caso, lavori di gruppi dichiaratamente "alla" possono fare imbufalire schiere di puristi di questa o quella band o corrente, lasciarti in una nichilista indifferenza, o al contrario dare nuova linfa al suddetto genere, regalandoti una rassicurante e accogliente aria di casa (CheVabenePureAvventurarsiPerCaritàMaCasaMiaRestaIlPostoPiùBelloDelMondo!).
Gli Spiral 69 a torto o ragione, nel bene e nel male, appartengono alla seconda categoria qui analizzata.
Fin dal proprio nome (ispirato ad un hard movie tedesco dei primi '80) questa band non lascia spazio ad equivoci: territori prediletti qui sono il goth, il dark, la new wave, l'elettronica industriale.
D'altronde il leader Riccardo Sabetti, già conosciuto per la sua esperienza con gli Argine, band dark wave di Napoli, nel mettere in piedi questa sua creatura giunta ormai alla terza fatica in studio, fa parte di quella schiera di musicisti che, come detto, non teme raffronto alcuno.
"Ghost in My Eyes", forte di una produzione da primissimo livello (Steven Hewitt ex batterista dei Placebo, e Paul Corkett ingegnere del suono con Radiohead e Nick Cave), scorre nel player preciso, pulito e coerente con la propria idea di musica. Va detto che l'eccessivo orgoglio dark-wave finisce alla lunga per pagare dazio con influenze mai troppo celate, che talvolta sfociano in vero e proprio enciclopedismo. Il disco, che si apre con un apocalittico trionfo di synth, nelle prime due traccie ricorda i primi Editors (la voce in "Waves", e specialmente "New Life").
"No Earth" è una struggente ballad, che se da un lato è musicalmente bella e profonda, dall'altro ti lascia un po con l'amaro in bocca per l'inflessione del cantato, va detto dalla pronuncia perfetta (aspetto, questo, decisivo per noi italiani, sempre poveri di pronuncia anglosassone), ma troppo marcatamente ispirato al miglior Morrisey.
"Fake Love" a mio avviso è la traccia più ispirata del disco in quanto, pur rimanendo nel solco del genere di provenienza, con un pianoforte minimale ma efficace, organetti caramellosi, linee di cantato più decise e personali, e un sound avvolgente, a spirale per l'appunto.
"Dirty" e "Please" spaziano dall'elettro-rock stampo Depeche Mode all'industrial più controllato tipico degli ultimi Nine InchNails.
La title track, finale del disco, rappresenta l'episodio più sofferto e malinconico di quest'opera, sorretta dal bel pianoforte di Licia Missori, un'eccellente partitura d'archi e dalle ispirate linee vocali di Riccardo Sabetti.
Dopo aver ascoltato "Ghost in My Eyes", la sensazione generale è quella di avere a che fare con una band dal sound internazionale che, con i suoi mood sicuri e ben definiti potrebbe aspirare alla definitiva esportazione del rock tricolore oltremanica.
Queste impressioni positive però devono tramutarsi, da parte del combo di Riccardo Sabetti, in maggiore ricerca di personalità, in quanto lo sfoggio -seppur con grande maestria- del proprio folto background musicale è si un ottimo biglietto da visita, ma alla lunga può sortire un pericoloso effetto boomerang.

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