domenica 10 novembre 2013

INDIECAR(t)E: Michele Vino e un racconto di fotografia


Oggi parliamo di e con Michele Vino, fotografo ventitreenne dalla spiccata sensibilità.

Cresciuto a Cerignola, in provincia di Foggia in Puglia, si è poi spostato alla sola età di 17 anni a Foggia cominciando ad approcciarsi alla fotografia come hobby.
All'età di 20 anni, sceglie di cambiare nuovamente aria, trasferendosi per due anni ad Urbino dove la sua passione diventa qualcosa in più del semplice passatempo e dove, principalmente da autodidatta, comincia lo studio della fotografia.

Già da un po' nel mirino di Indiestruttibili in quanto ci ha colpito per le storie che i suoi scatti riescono a raccontare, l'abbiamo incontrato e abbiamo chiacchierato con lui in occasione della sua prima mostra ufficiale tenutasi a Cerignola, suo paese di origine, "L'altro Vietnam" tra il 10 e il 13 ottobre che racconta, con 22 scatti, il Vietnam che Michele ha vissuto in un viaggio di 50 giorni.


1. Uno fin da piccolo dice di voler fare qualcosa di preciso, e a volte ci riesce. Altri semplicemente lo decidono dopo la scuola. Altri ancora ci si imbattono così per caso. Per quel che ti riguarda, com’è arrivata la passione per la fotografia?

La fotografia non è certo quello che , da piccolo, avrei immaginato per il mio futuro e, a dir la verità, ancora faccio difficoltà ad immaginarmi come “fotografo”.

Ho scoperto la fotografia relativamente tardi , avevo 17 anni anni quando ho avuto fra le mani la mia prima fotocamera e, pur sentendo una forte attrazione, non immaginavo quanto in là mi sarei spinto. 
Mi è difficile dire come sia arrivata la passione, a volte ripenso a quando ero piccolo e mia madre , pur non essendo una fotografa, mi scattava centinaia e centinaia di fotografie e io posavo per lei divertito. Ero figlio unico e soffrivo un po’ per della mia solitudine, mi piaceva riguardarmi in foto, è come se mi facessi compagnia. Ancora oggi le mie fotografie mi fanno spesso compagnia. Mi piace pensare che ci sia questo all’origine. Chiaramente uno deve trovare altre motivazioni più valide per rimanere affezionato a una passione che, diversamente, si esaurirebbe subito. Poi oggi guardando come i bambini si incuriosiscono difronte agli apparecchi fotografici mi fa pensare che  sicuramente mi è rimasto quel desiderio di bambino che è sempre voluto essere dall’altra parte della fotocamera,ma...chissà!

2. Osservo da sempre le tue fotografie, e ciò che mi affascina sono il loro “sembrare dei racconti”. Non dei semplici scatti, fatti così, per ritrarre un bel soggetto, ma racconti che arrivano all’occhio dell’osservatore in maniera semplice e diretta, che, al contempo, sono in grado di celare dei retroscena. 
Ma sappiamo bene che, dietro la realizzazione di un bel racconto, c’è un iter di formazione ben studiato. Non basta saper impugnare la penna (che nel tuo caso è la macchinetta). C’è la scelta del protagonista, la ricerca della documentazione necessaria per scrivere su un determinato argomento, la scelta della fascia di età a cui il racconto vuole rivolgersi….Insomma, riesci a descriverci qual è il tuo iter?

Intanto ti ringrazio per l’apprezzamento che trovo vicino al mio modo di vedere le cose e al modo in cui vorrei trasmetterle. Certamente c’è un iter di formazione che è composto da tantissime variabili. Secondo me le più importanti sono quelle incognite, soggettive, che non fanno parte di uno studio o di una ricerca conscia, ma del vissuto di una persona, della sua unicità, che spingono là dove nessun altro sarebbe arrivato. 
Con questo non mi voglio attribuire capacità straordinarie, dico solo che ognuno nella propria “ordinarietà” ha qualcosa di “straordinario”, ed è quello che fa la differenza.
Questo non significa che le variabili oggettive, più facili da individuare, debbano mancare. Le variabili più oggettive, la tecnica, la curiosità e la consapevolezza, sono anche queste fondamentali, ma vanno a far parte di qualcosa di più complesso che è strettamente legato a quello che noi profondamente siamo.
Il mio iter ha attraversato certamente la lettura di testi che mi preparassero alla tecnica, o, per esempio per i miei ultimi lavori, alla conoscenza del posto in cui ho viaggiato, alle problematiche legate all’obiettivo della mostra, ma le risposte che ho trovato sono diverse da quelle che avrebbe trovato un altro al posto mio, e un altro ancora al posto di quest’ultimo.
Con questo voglio dire che sono fondamentali per il risultato finale, la mia storia, il modo in cui l’ho vissuta e rielaborata , le speranze e le ricerche di cui ancora vivo e di cui ancora necessito.

3. Il tuo ultimo “racconto” è quello che di recente hai esposto in una mostra tenutasi nei giorni tra il 10 e il 13 Ottobre 2013 presso L’“Exopera” di Cerignola: L’altro Vietnam.
Quando si decide una meta da visitare sono tante le dinamiche che ci portano a sceglierla. Quando si sceglie poi di affrontare da soli, senza alcuna compagnia, queste possono essere anche più profonde perché il viaggio, in questo caso, non è più la sola vacanza ma può diventare anche motivo di meditazione, crescita, scoperta, sperimentazione. Quali sono state le tue “dinamiche di scelta”? 

Il discorso rimane simile al precedente. 
Come ho già detto a qualcun altro, sarebbe bello se io fossi semplicemente una persona curiosa, insaziabile e che ama il viaggio in quanto tale. Da una parte è vero che c’è stato in questa partenza un profondo senso di ricerca, ma è stata una ricerca personale, che poi si è trasformata anche in un progetto più ampio, partita però per delle mie mancanze e bisogni. 
Vivevo ad Urbino e tante relazioni della mia vita erano di un livello davvero scadente, non peggio di quello che la maggior parte di noi vive, ma diciamo che a me stavano particolarmente strette! Sono molto istintivo e spesso faccio cose di cui non mi domando il senso, il Vietnam è stata una di queste. 
Aldilà delle risposte banali, che ti risparmio, non c’è stato un motivo chiaro per il quale sono partito se non per quello che ho già scritto; a posteriori mi domando sempre cosa mi abbia spinto a farmi un tatuaggio piuttosto che un altro, o a scegliere un luogo piuttosto che un altro, e, nel caso del Vietnam, penso di essere stato affascinato da quella che dev’essere stata l’unità di questa Nazione per scampare alla dominazione di tante superpotenze, da come si saranno andate a costituire le relazioni dei vietnamiti nei periodi della guerra, dall’immaginario di relazioni fortissime, quelle che sono mancate nella mia vita, infatti anche se finisco col definire il lavoro di quei giorni come “reportage” mi rendo conto che assolutamente non lo è! 
Ci sono parti di Vietnam, ma c’è sopratutto la mia esperienza nei luoghi e nei visi fotografati, c’è la risposta a quello che cercavo e che penso oggi in molti cerchino.

4. La mostra.
Quando un artista decide di mostrare i suoi lavori, sceglie di mettersi a nudo, di affrontare critiche positive e negative, di confrontarsi con idee che sono diverse dalla propria. Dal ritorno da questo viaggio on the road di 50 giorni, avresti mai pensato di arrivare ad esporre i tuoi scatti? 

"L'altro Vietnam" presso "Exopera, 10/10/2013
Perché no? Oggi tutti esponiamo tutto senza remore. Basti pensare a come si struttura il web. Io cerco di non farlo e di mantenermi nei limiti della decenza, e ho pensato che gli scatti del Vietnam meritassero una condivisione, sia per i contenuti, sia perché, come già detto, immaginavo che la mia ricerca fosse simile a quella di altri che avrebbero potuto “viaggiare” attraverso le foto e tornare a casa con qualche interrogativo. Con qualcuno mi sembra anche di esserci riuscito, e questa è una grandissima soddisfazione.




5. Come ben sai, io ero presente all’evento e, oltre a guardare i tuoi lavori, che ho sentitamente apprezzato, ti ho “spiato”. A un certo punto una donna ti ha chiesto di firmare un foglio. Non so che tipo di firma ti abbia chiesto, ma ho visto i tuoi occhi diventare quasi lucidi per la gioia e hai sfoggiato un sorriso, di quelli che ricordano i bambini quando scartano i regali di Natale. 
Da questa immagine, vorresti descriverci le emozioni provate in quei giorni? Cosa ha suscitato in te questa esposizione e il riscontro di tantissimi pareri favorevoli?

Sicuramente il mio sorriso era più di imbarazzo, che di felicità! O forse dietro l’imbarazzo si nascondeva della gioia, certo è che quando vengono riconosciute le nostre capacità è difficile non esserne contenti, soprattutto quando dietro al progetto che viene apprezzato ci siamo tutti noi stessi. Così è stato per tutti i tre giorni, in misura decisamente maggiore di quel che mi sarei aspettato.
Devo dire però che secondo me questa rimane vana gloria, e quello che più mi ha emozionato è stato vedere quanta gente si è interessata al progetto, quanti si sono attivati e scomodati per questo. Nel vedere così tante persone interessate, ho pensato che, alla fin dei conti, la mia ricerca e la loro è la stessa, e che oggi sono riuscito a portare a casa quello che cercavo in luoghi così lontani, ho rivalutato molto il mio territorio e ho trovato una nuova speranza nelle persone. Questo mi ha realmente commosso, più di qualsiasi altro complimento che abbia potuto ricevere.

6. Di tutta questa esperienza, dal viaggio, dalla sperimentazione tecnica ed artistica, dalla mostra e dai consensi ricevuti, quali sono i frutti? Cosa ti rimarrà, a livello personale, di tutto questo?

Come appena detto, ho rivalutato il posto in cui vivo. Diciamo che ora, anche carico di quello che ho visto e vissuto, spero di riuscire a pormi diversamente nelle relazioni fermandomi meno alle mie chiusure iniziali e quelle de
gli altri.

7. Sei molto giovane, ma, a mio parere, hai già qualcosa da insegnare. Vorresti dare un consiglio, un parere, o anche una semplice opinione, che possa essere emozionale, tecnica, o entrambe, a chi, come te, voglia avvicinarsi al mondo della fotografia?

Credo che l’uomo stia diventando sempre più complesso, acquisendo una multimedialità di linguaggio in cui le immagini stanno ottenendo, quasi prepotentemente, un valore sempre più importante. Rendere una foto di pubblico dominio è come scrivere il proprio pensiero. La vera distinzione ontologica fra i due, secondo me, sta nel fatto che le parole sono di più semplice interpretazione, le immagini no perché non siamo educati a “leggerle”, e questo crea molta confusione.
Ognuno è libero di scrivere con la fotografia il proprio “saggio”, il proprio “romanzo rosa” o l’articoletto da giornale di gossip. 
Il consiglio che mi sento di dare è semplicemente quello di interrogarci sempre su cosa stiamo guardando e sul perché ci venga proposto, al di là di ciò che vediamo.

8. In conclusione, quali sono i tuoi progetti imminenti? E questi includono anche qualche nuovo viaggio o per questo aspetterai un po’ e per il momento ti limiterai a sognare nuove mete?

Come progetti futuri imminenti, è in cantiere una mostra nel mese di dicembre a Bari. 
Ora mi trovo a Firenze dove ho cominciato i miei studi di fotografia presso un’accademia, e dove mi “limiterò” a ricercare lo straordinario in questa nuova ordinarietà sperando di raggiungere mete inaspettate. 
Appena poi avrò la possibilità di viaggiare, lo farò ancora.



a cura di Liana Traversi

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